L'anima, i suoi fardelli e un pò di naiveté


Parto dalla naiveté, con questa immagine. Sono quelle che ormai chiamiamo "le sagomelle", personaggi stilizzati di cui nemmeno io, fino a pochi mesi fa, sapevo di aver piene la mani.
Lo sblocco creativo è scattato all'improvviso, e di lì a poco mi sono resa conto che loro sono il modo più veloce che ho per tirare fuori storie e riflessioni che mi ronzano per la testa. Loro sono i disegni naif che mi hanno spesso aiutata a far crescere cose più grandi. Le sagomelle sono anche il punto di partenza di questo blog: campeggiano nell'immagine del titolo perchè hanno contribiuto a chiarire chi ero (o volevo essere) e cosa facevo (o volevo fare) quando mi sono messa a scrivere. Hanno dato vita a tante forme, più elevate e complesse, di cui è composta la mia vita di adesso. Forse, semplicemente, arrivano un pò prima dell'accetazione razionale, in quella mezza via tra il corpo che già sente e la testa che è ancora sorda.
Questo è successo anche qualche giorno fa, quando ho letto della biografia di san Simeone, che ha passato la vita a mostrarsi pazzo agli occhi degli altri, guadanandosi l'epiteto di "salos", folle. Secondo alcuni, questo santo vissuto nel VI secolo era un abilissimo simulatore: i suoi atti volevano stimolare riflessioni profonde in chi lo osservava, e arrivare direttamente all'anima, scuotendola. Si racconta che un giorno abbia trovato sul suo cammino il corpo di un cane morto e, dopo averlo legato a sè con una corda, abbia camminato per tutto il villaggio trasportandolo. Era il suo modo per far riflettere gli altri sui pesi che ognuno di noi porta inutilmente, affaticandosi, come se portasse a spasso un cane morto.  Mentre leggevo questa storia ho capito che era arrivato il momento di fronteggiare il mio "cane morto". Di provare, almeno, a parlare con lui, a conoscerlo.
Ho giocato ad immaginare chi era, com'era fatto, e questo è il risultato. Il disegno è un abbozzo semplificato e bruttino, ma, come sempre, parla chiaro. Il mio fardello più grande è il mio giudice interiore, quello col dito alzato pronto a smontare l'entusiasmo, a farmi vergognare (lo fa anche adesso, pregandomi di togliere quest'immagine dall'apertura del post), a farmi sentire che non sono abbastanza..., a impormi strane forme di dovere per compiacere chissà quale idea perfezionista e irrealistica di me. Lui è il mio fardello, lo trascino con me tenendolo con una corda legata alla mia gola: è lì che lo sento. Sarà che la gola e il collo segnano l'unione tra il cuore, le emozioni e le viscere con la razionalità, e lui si insinua proprio lì. Sarà per quello che la mia gola è spesso infiammata, dolorante, sempre la prima a risentire del cambio si stagione e l'ultima ad arrendersi alla guarigione con l'arrivo della primavera.
Ho osservato le prime sagomelle e pensato che non mi ero mai figurata così chiaramente questo peso, trascinato dal mio collo, inutile eppure trasportato per la (mia) strada.
Ci ho messo un pò prima di capire cosa potevo farne, del giudice. Ho pensato di girarmi verso di lui, sedermici davanti e conoscerlo. Avrà la sua storia, le sue origini, il suo modo per continuare ad alimentarsi (delle mie paure, insicurezze, della prepotenza del mondo che a volte mi sovrasta). Avrà anche lui qualcosa da raccontare... 
Anche lui è parte della mia anima, è cresciuto pezzo dopo pezzo insieme a me.
Ho sistemato il disegno naif in casa, in modo da vederlo spesso, e ricordarmi di ascoltare... la mia anima, i miei fardelli.

1 commento:

  1. le tue riflessioni sono così profonde...grazie per condividerle con noi!

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