Il cammino nell'universo dell'hatha yoga si sviluppa in otto tappe, di cui una, denominata niyama, prevede anche lo studio di noi stessi e di tutte le fonti di apprendimento al di fuori di noi: testi, fenomeni naturali, spunti dalla vita quotidiana. Ultimamente ho trovato un valido aiuto nei racconti e nelle poesie, nelle parole scritte per far riflettere attraverso l'immersione in un mondo altro da quello del lettore. Mi diverto a modellare la mia pratica personale e quella che proprongo ai miei allievi partendo da spunti impressi sulla carta, da cui prendono vita analisi su fili da seguire per dedicarmi a un particolare lavoro fisico ed emotivo. Ho trovato molto stimolante non solo leggere, ma anche scrivere, pensando a sequenze di asana che potessero dar forma ai pensieri che certe belle storie suscitano, immaginandomi quale racconto ci può essere dietro una serie di movimenti che sono solo il "la" lanciato a ossa, cuore e mente per renderli liberi di...
Quello delle yoga stories è un capitolo appena iniziato per quel che mi riguarda, ma che mi ha già dato parecchi stimoli e aiutata a rendere la pratica ancora più incisiva, soprattutto con i bambini.
Questa è la storia che ho scritto per bambini dai 6 ai 10 anni, prendendo spunto da un capitolo dei Purana, un gruppo di testi sacri all'induismo, stravolgendone lo svolgimento e parte del finale:
La nascita del fiume Gange e la scoperta di quanto è forte ciò in cui crediamo
C’era una volta un re con due mogli. Una gli diede un solo figlio, l’altra sessantamila. O meglio, visto che quel re voleva avere tanti figli, un saggio decise di aiutarlo e, con il suo potere di concentrarsi e volere così intensamente le cose da farle accadere sul serio, riuscì a dividere quel figlio in sessantamila parti.
Per ringraziarlo, il re, stupefatto, decise di compiere un rito in suo onore. Anzi, organizzò una cerimonia magnifica, in cui tutti i presenti onoravano il saggio cercando di sviluppare la loro concentrazione e la loro volontà così tanto da impegnarsi per quello che volevano, per ciò in cui credevano e, infine, ottenerlo.
Quando il re e tutti coloro che furono invitati alla cerimonia iniziarono il loro rito speciale, tutto ciò che stava loro intorno si trasformò. Il cielo splendeva di una luce mai vista, i fiumi non erano mai stati più freschi e limpidi, l’erba non era mai stata così morbida e brillante. Le persone di quella città, anche coloro che non partecipavano alla cerimonia, erano felici come non erano mai state prima.
Gli dei, su in alto, più in alto del cielo, si accorsero presto dei cambiamenti che stavano avvenendo sulla terra, e ne furono invidiosi. Pensavano di essere migliori delle persone che abitavano la terra, pensavano che lassù in alto, più in alto del cielo fosse il posto migliore in cui vivere. Invece, quel re e gli invitati alla cerimonia stavano dimostrando il contrario. Con lo scorrere del tempo, il loro rito diventava una festa. Una grande festa in cui niente sembrava più impossibile. Un respiro profondo per calmarsi quando si era agitati, la schiena dritta e il petto in fuori per sentirsi forti abbastanza da affrontare tutto, la concentrazione per decidere ciò di cui si aveva bisogno per star meglio e comprendere come ottenerlo. Questa era la loro ricetta magica eppure semplicissima per far splendere i loro occhi, e tutta la terra. Chi aveva un sogno un po’ più grande era aiutato dagli altri ad immaginarlo e poi pensare di afferrarlo con le mani e avverarlo. E chi proprio non riusciva ad avverare un suo sogno, era ormai così sereno, così contento di star con gli altri nella festa, che finiva per star bene lo stesso.
Tutto questo era davvero troppo per gli dei invidiosi. Se le persone avessero continuato da sé a trovare la felicità, chi avrebbe più rivolto al cielo le sue preghiere? Chi avrebbe pensato a loro? Escogitarono allora un piano e scesero sulla terra a metterlo in atto. Rapirono i sessantamila figli del re, e li nascosero sotto la superficie della terra, così in profondità che le loro urla per chiedere aiuto non si sentivano, così dentro la terra che nessuno poteva trovarli.
Ma ormai gli uomini e le donne della città avevano capito che si poteva provare e anche riuscire in tutto. Il figlio che il re aveva avuto con la prima moglie si mise in viaggio alla ricerca dei fratellastri. Sapeva da dove iniziare: da un viaggio lungo e difficile che lo avrebbe portato nella caverna del saggio che aveva dato la vita ai suoi sessantamila fratelli. Nel cuore del monte Kailash, nell’India del nord. Là tutto è freddo e poco luminoso, solo la caverna del saggio è illuminata. Partì pieno di coraggio, con lo spirito di un guerriero. Fece attenzione a tutti i segnali che trovava sulla sua strada, fino a che trovò il fascio di luce che portava alla caverna del saggio.
Poi, ascoltato con attenzione il suo consiglio, ripartì. Doveva chiedere aiuto all’acqua, capace di infilarsi in ogni fessura, scavare in profondità e creare spazio là dove nessuno riesce. Doveva salire fino in cima, sul monte Kailash, dove si trovava la fonte del fiume Gange. Doveva sdraiarsi nell’acqua e diventare come lei, leggero e forte al tempo stesso. Potente e veloce, insieme all’acqua doveva scavare nella terra e liberare i suoi fratelli.
Ci vollero giorni, mesi e anni. L’acqua del fiume Gange e il giovane figlio del re diventato acqua, alla fine liberarono i sessantamila, imprigionati molto più a sud, vicino al mare. Unendosi, scorrendo e cercando insieme, capendo come trovare spazio nella terra dura, come scavare con forza, senza però stancarsi troppo e rovinare tutto il lavoro fatto fino a quel momento.
Da quel giorno, le persone di quella città sanno che si può fare molto di più di quello a cui spesso ci si ferma, che ciò in cui crediamo è davvero forte. Da quel giorno l’India è attraversata da un fiume che ricorderà questa scoperta per sempre: il fiume Gange.
Per ringraziarlo, il re, stupefatto, decise di compiere un rito in suo onore. Anzi, organizzò una cerimonia magnifica, in cui tutti i presenti onoravano il saggio cercando di sviluppare la loro concentrazione e la loro volontà così tanto da impegnarsi per quello che volevano, per ciò in cui credevano e, infine, ottenerlo.
Quando il re e tutti coloro che furono invitati alla cerimonia iniziarono il loro rito speciale, tutto ciò che stava loro intorno si trasformò. Il cielo splendeva di una luce mai vista, i fiumi non erano mai stati più freschi e limpidi, l’erba non era mai stata così morbida e brillante. Le persone di quella città, anche coloro che non partecipavano alla cerimonia, erano felici come non erano mai state prima.
Gli dei, su in alto, più in alto del cielo, si accorsero presto dei cambiamenti che stavano avvenendo sulla terra, e ne furono invidiosi. Pensavano di essere migliori delle persone che abitavano la terra, pensavano che lassù in alto, più in alto del cielo fosse il posto migliore in cui vivere. Invece, quel re e gli invitati alla cerimonia stavano dimostrando il contrario. Con lo scorrere del tempo, il loro rito diventava una festa. Una grande festa in cui niente sembrava più impossibile. Un respiro profondo per calmarsi quando si era agitati, la schiena dritta e il petto in fuori per sentirsi forti abbastanza da affrontare tutto, la concentrazione per decidere ciò di cui si aveva bisogno per star meglio e comprendere come ottenerlo. Questa era la loro ricetta magica eppure semplicissima per far splendere i loro occhi, e tutta la terra. Chi aveva un sogno un po’ più grande era aiutato dagli altri ad immaginarlo e poi pensare di afferrarlo con le mani e avverarlo. E chi proprio non riusciva ad avverare un suo sogno, era ormai così sereno, così contento di star con gli altri nella festa, che finiva per star bene lo stesso.
Tutto questo era davvero troppo per gli dei invidiosi. Se le persone avessero continuato da sé a trovare la felicità, chi avrebbe più rivolto al cielo le sue preghiere? Chi avrebbe pensato a loro? Escogitarono allora un piano e scesero sulla terra a metterlo in atto. Rapirono i sessantamila figli del re, e li nascosero sotto la superficie della terra, così in profondità che le loro urla per chiedere aiuto non si sentivano, così dentro la terra che nessuno poteva trovarli.
Ma ormai gli uomini e le donne della città avevano capito che si poteva provare e anche riuscire in tutto. Il figlio che il re aveva avuto con la prima moglie si mise in viaggio alla ricerca dei fratellastri. Sapeva da dove iniziare: da un viaggio lungo e difficile che lo avrebbe portato nella caverna del saggio che aveva dato la vita ai suoi sessantamila fratelli. Nel cuore del monte Kailash, nell’India del nord. Là tutto è freddo e poco luminoso, solo la caverna del saggio è illuminata. Partì pieno di coraggio, con lo spirito di un guerriero. Fece attenzione a tutti i segnali che trovava sulla sua strada, fino a che trovò il fascio di luce che portava alla caverna del saggio.
Poi, ascoltato con attenzione il suo consiglio, ripartì. Doveva chiedere aiuto all’acqua, capace di infilarsi in ogni fessura, scavare in profondità e creare spazio là dove nessuno riesce. Doveva salire fino in cima, sul monte Kailash, dove si trovava la fonte del fiume Gange. Doveva sdraiarsi nell’acqua e diventare come lei, leggero e forte al tempo stesso. Potente e veloce, insieme all’acqua doveva scavare nella terra e liberare i suoi fratelli.
Ci vollero giorni, mesi e anni. L’acqua del fiume Gange e il giovane figlio del re diventato acqua, alla fine liberarono i sessantamila, imprigionati molto più a sud, vicino al mare. Unendosi, scorrendo e cercando insieme, capendo come trovare spazio nella terra dura, come scavare con forza, senza però stancarsi troppo e rovinare tutto il lavoro fatto fino a quel momento.
Da quel giorno, le persone di quella città sanno che si può fare molto di più di quello a cui spesso ci si ferma, che ciò in cui crediamo è davvero forte. Da quel giorno l’India è attraversata da un fiume che ricorderà questa scoperta per sempre: il fiume Gange.
E questo è il corso del fiume Gange, che sgorga dal monte Kailash e scorre fino alla baia del Bengala:
Dalle parole sottolineate nel testo si può ricavare una sequenza di asana, per rappresentarne i personaggi e le situazioni più importanti:
Le posizioni non solo danno forma a personaggi e situazioni, ne richiamano anche l'emozione e l'attitudine peculiare. Così:
- il re è forte e altero,
- il saggio è calmo e riflessivo,
- la cerimonia si svolge in preghiera con le braccia alzate e i palmi delle mani rivolti verso avanti e, inspirando, verso l'alto,
- la concentrazione è un momento di visualizzazione e attenzione su qualcosa che ci sta a cuore,
- il monte è pesante e possente,
- il guerriero è coraggioso,
- per sperimentare cosa significa scorgere un fascio di luce nel buio, si possono mettere le mani davanti agli occhi per qualche secondo, poi staccarle lentamente per lasciar entrare la luce,
- per sentirsi come acqua bisogna immaginare di poter scorrere e modellare il proprio corpo a seconda degli ostacoli che si incontra.
E per immergersi ancora più a fondo nell'immedesimazione? Io e il bimbo per cui ho scritto questa storia abbiamo provato a richiamarne dei passaggi, ad immaginare quali potessero essere le emozioni provate dai personaggi, a suonare due strumenti musicali che potevano fare da colonna sonora a sperimentazioni di movimento che partivano dalle asana per dar spazio a ciò che ne scaturiva.
Per questa sequenza ho proposto il tamburo e l'albero della pioggia. Il primo è lo strumento che nelle rappresentazioni indiane è sempre associato ai guerrieri, alle battaglie, ai momenti in cui l'emozione trainante è l'eccitazione, l'attitudine in prima linea è il coraggio, l'organo protagonista è il cuore. Il suono dell'albero della pioggia è rilassante e adatto a mettersi in contatto con la sensazione dello scorrere dell'acqua.
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