Riti quotidiani: passeggiare insieme, guardare in silenzio
Ultimamente mi sono chiesta spesso come si possa armonizzare lo yoga con il nostro quotidiano.
Elevarlo a pratica che va al di là della lezione, della parentesi che gli si dedica, e farlo diventare parte del nostro modo di essere.
Rtà è la parola sanscrita con cui si definisce il rito, inteso come tensione spirituale e fisica a vivere un evento così profondamente da farlo essere un'esperienza che investe tutto l'essere e lo trasforma, perchè lo ha toccato davvero. Infatti, una delle metafore che i testi sacri usano per definire il rito è quella del "cuocere," cioè modificare lo stato del soggetto attraverso tempo e calore (energia, fatica, amore o qualsiasi altra forma di rilascio di calore ci venga in mente).
Sono fermamente convinta che una pratica avulsa dal contesto in cui viviamo non abbia senso, almeno per me, almeno in questo momento. Non mi rimane che imparare a "cuocere" il mio quotidiano, amalgamarne gli ingredienti, lasciarli riposare e sedimentare per poi ritrovarli trasformati.
Tra i miei riti quotidiani c'è la passeggiata con Ladù, ogni mattina.
Come tutti i riti è sempre uguale a se stesso, nel percorso che facciamo, in molti degli sguardi che incrociamo, nel risultato che otteniamo: è il nostro momento di rilassatezza, in cui ci piace ritrovare quello che conosciamo, senza voler imparare di più, senza voler aggiungere, lasciandoci cullare dalla sicurezza di una parentesi senza (troppe) sorprese.
Il rito inizia ancor prima di uscire, con i capricci di Ladù che odia essere vestito, con i miei dieci minuti di tensione mentre cerco di ricordare tutto quello che ci servirà una volta fuori e di resistere alla lacrimuccia che puntualmente scende quando si tratta di infilare giacca e scarpe.
Poi, finalmente, la pace: la porta si apre, il viso di Ladù si illumina alla vista delle scale, il preludio del nostro bagno di colori, suoni e odori che sanno di diverso, che non sono "casa."
Io lo guardo, prendo un bel respiro e mi do tempo fino alla fine dei gradini per riprendermi dai preparativi.
Siamo fuori, per fortuna questi giorni sono assolati e caldi. Non mi sono ancora del tutto abituata all'autunno romano, senza nebbia e senza freddo. Io, che dei mesi di novembre ho quasi solo ricordi di grigiore, o al massimo dell'acqua alta degli anni a Venezia. Però mi piace, questa sorta di estate prolungata che non cede il passo all'inverno.
Un altro respiro profondo. Andiamo al parco, voglio vedere qualche albero, qualcosa che non sia fatto di pietra, ferro o plastica.
Il parco vicino casa mi piace tantissimo, come tutta la zona in cui viviamo. Piazza Vittorio Emanuele, o, come la chiamiamo tutti, "piazza Vittorio," è un mélange di razze, colori e lingue. Un viaggio ogni volta che si esce di casa. Da qui viene l'Orchestra di piazza Vittorio, un gruppo di musicisti di varie nazionalità che ha fatto della diversità la sua ricchezza, e di quest'ultima il suo lasciapassare per palchi e piazze di tutta Europa.
Il parchetto di piazza Vittorio è pieno di stranieri. Oggi ci sono signore indiane coloratissime che portano i bimbi sulle giostre, ma anche rumeni malinconici che giocano a pallone per dimenticarsi che non hanno più vent'anni e tenere bene in mente che distrarsi è un'ancora di salvezza, a volte. Qualche ragazzino cinese che gioca a basket godendosi una mattinata senza scuola, qualche adulto della stessa nazionalità che pratica tai chi contornato da un'aura di serenità che per qualche secondo fa dimenticare anche a me il rumore del traffico in sottofondo.
Ladù è rapito, non si muove, non apre bocca, ha gli occhi spalancati. Io inizio a rilassare la schiena e le spalle, sento i miei piedi che guadagnano strada e mi portano verso la Porta Magica.
Mi piace guardarla, mi ricorda che si può trovare magia ovunque. La porta faceva parte di una villa situata più o meno nell'area in cui oggi si trova il parco e risale al 1600. Si dice che un pellegrino l'abbia attraversata per poi scomparire lasciandosi dietro le pagliuzze d'oro che aveva magicamente ricavato da un erba del giardino della villa, e qualche foglio pieno dei simboli alchemici che ora decorano la porta.
Ladù è felice, mi accorgo che elargisce sorrisi ai passanti perchè vedo facce sorprese e sento voci in falsetto che lo salutano: è il suo show quotidiano riservato agli estranei. Anche io me la rido, è sempre divertente vedere visi rigidi e distratti che si trasformano in giocosi, che si squagliano davanti ai tentativi di conversione al sorriso di mio figlio.
Andiamo verso il mercato di piazza Vittorio. Qui mi illumino anch'io: colori, odori, vociare. Il mercato di qui è come una fiera gastronomica dei prodotti da tutto il mondo.
Ci sono spezie fluorescenti, verdure dall'aspetto alieno, scatolette che proprio non riesco ad immaginare cosa potrebbero contenere che coesistono con la famiglia di agricoltori da fuori città che vende solo cose di stagione e il banco del pane sciapo e della pizza bianca alla romana.
Ci rimane ancora un pò di tempo, nessuno dei due ha voglia di tornare a casa. Allunghiamo la passeggiata fino a Colle Oppio. Ladù è di quelli che non tornebbero mai a casa, una volta usciti. Io so bene che questo è il mio momento di libertà, posso vagare senza avere una meta precisa, la mattina. Mentre mio figlio continua il suo progetto di redenzione dei musi lunghi dei passanti, io mi distraggo nel mio flusso di coscienza quotidiano:
"Che bella questa luce, oggi è proprio una giornata splendida.
Chissà se Paola sta meglio con l'asma e stasera torna a lezione. Devo farla, una lezione di posizioni che aiutano gli asmatici.
Mi abituerò mai all'idea che uscendo da casa, ad un certo punto spunta il Colosseo?
Chissà quando la riaprono, la Domus Aurea, è chiusa da un paio d'anni, da quel crollo di una sua parte.
Che ora è?
Vabbè Ladù, si torna a casa che tra un pò è ora di pappa..."
Sul percorso verso casa passiamo per l' Auditorium di Mecenate, che affaccia su via Merulana.
Poi un ultimo passaggio per il parco, un'ultima dose di alberi e colori autunnali.
Rientriamo.
La svestizione implica decisamente meno capricci del processo inverso.
Il nostro rito quotidiano, il nostro viaggio silenzioso per dire insieme buongiorno al mondo, anche oggi è compiuto.
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bellissimo, come sempre. sai che ci sono entrata nell'auditorium di mecenate? pinnata!
RispondiEliminaah che bello! io non ci sono ancora entrata, sono come il calzolaio con le scarpe rotte...
RispondiEliminaciao Ylenia...grazie per questa bella passeggiata che ho fatto con te e Ladù ...anche io vivo a Roma e sono innamorata dei colori del suo lungo autunno/inverno ormai..di solito le mie passeggiate le faccio a villa pamphili..ma dove vai puoi rimanere stupita. Buona vita.
RispondiEliminaGrazie Simoff, grazie.
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