La felicità è del funambolo

Un giorno gli ha legato al collo un sacchetto di pelle morbida come il velluto, ha scacciato i fantasmi, ci ha soffiato dentro tutti i sogni migliori.- M. Mazzantini, Mare al mattino.

Nell'ultimo anno mi sono trovata tante volte a pensare alla felicità, a cercare di dare una forma al significato che ha per me, a stilare un percorso facile per ritrovarla quando mi sembra d'averla persa. Mi sono trovata a cambiare varie idee su quella che potrebbe essere la mia strada per la felicità, dovendo escludere mete che mi sembravano fondamentali e che, per fortuna, si sono rivelate solo possibili alternative a qualcos'altro.

Pian piano ho finito per convincermi che la felicità è un filo traballante, che richiede cure continue e fiducia, che la felicità è del funambolo, in equilibrio su una corda sottile, molto in alto. Il mondo che si puó rovesciare in un momento, l'ebbrezza.
L’amore -ma quasi disperato, ma pieno di tenerezza- che  devi dimostrare al tuo filo avrà la stessa forza che il filo di ferro dimostra nel reggerti. Conosco gli oggetti, la loro malignità, la loro crudeltà, e la loro gratitudine. Il filo era morto -o se preferisci muto, cieco-, ora sei qui, vivrà, parlerà.
(Tutte le citazioni da ora in poi vengono Il funambolo di J. Genet, Adelphi).

Nonostante sia da sempre alla ricerca del mio centro di gravità permanente, non credo che sapró (e forse vorró) mai trovarlo davvero. In questi giorni ci ho sbattuto spesso il muso, nello spazio tra un pensiero e l'altro, nei ritagli tra un'idea, un impegno e in gioco: dalla felicità al suo contrario passa un niente, un enorme brivido come quello che il funambolo sospeso si vede passare sotto .
Non posso proprio dire di essere un'inguaribile ottimista. Per questo, negli anni, ho finito per diventare la medicina di me stessa. Per questo, forse, per meditare sulla felicità ho dovuto partire dal suo contrario.
So di avere un enorme bisogno di passare le giornate a insegnare a me stessa e agli altri come stare in contatto con le nostre emozioni più profonde, osservarne l'incidenza sul corpo e la postura, dar loro spazio per raccontarci come trovare l'armonia che scaturisce dalla consapevolezza.

Alcuni domatori ricorrono alla violenza. Puoi cercare di domare il tuo filo. Sii guardingo. Come la pantera e -così dicono- il popolo, il filo di ferro ama il sangue. Ammansiscilo invece.
Se il tuo amore, e insieme la tua destrezza e la tua astuzia, sono abbastanza grandi per scoprire le segrete possibilità del filo, se la precisione di ogni tuo gesto è perfetta, si precipiterà incontro al tuo piede (calzato di cuoio): non sarai tu a danzare, sarà il filo. Ma se è lui che danza immobile, e se è la tua immagine che fa volteggiare, tu, allora, dove sarai?
...
La Morte -la Morte di cui parlo non è quella che seguiterà la tua caduta, ma quella che precede la tua apparizione sul filo. È prima di scalarlo che muori. Colui che danzerà sarà morto- deciso a tutte le bellezze, capace di tutte. Allorchè apparirai, un pallore- no, non parlo della paura ma del suo opposto, di un’audacia invincibile-, un pallore ti ricoprirà. Malgrado il belletto e i lustrini sarai esangue, e livida la tua anima. Allora la tua precisione sarà perfetta. Quando nulla ti terrà più legato al suolo, potrai danzare senza cadere. Ma bada di morire prima di apparire, e che sia un morto a danzare sul filo.

Mi conosco abbastanza da sapere che, per decidere che forma dare alla felicità, devo iniziare dall'infelicità.
Paul Watzlawick ha scritto un saggio ironico e veritiero sul tema. Istruzioni per rendersi infelici parte dall'assunto che l'infelicità ci è dolorosamente necessaria, per elencare una serie di situazioni che creiamo ogni giorno, per alimentare e giustificare quel pizzico di infelicità che ci è indispensabile per dar voce al nero che tutti abbiamo bisogno di tirar fuori.

Nulla ti distingueva dagli altri acrobati, dai giocolieri, di trapezisti, dalle cavallerizze, dagli inservienti di pista, dai pagliacci. –Nulla se non quella tristezza nel tuo occhio: non scacciarla, significherebbe buttar fuori a calci dal tuo viso ogni poesia!

Da questo saggio, una compagnia di teatro danza con cui ho avuto la fortuna di studiare negli anni passati ha tratto uno spettacolo, che porta il suo stesso nome e dà corpo alle sue parole. I gesti danzati sono tic che fanno parte di ognuno di noi, le parole recitate sono quelle che potrebbe usare chiunque nel suo quotidiano per esorcizzare la sua piccola dose di infelicità necessaria.


Forse è proprio da qui che si origina l'infelicità, dagli automatismi che infliggiamo a noi stessi e agli altri, dalle richieste impossibili da soddisfare, dalle rigidità che non vogliamo smussare, più per abitudine che per reale incapacità di farlo. Ecco un altro concetto su cui ho riflettuto molto: abitudine.
Nel Quaderno di esercizi di allenamento alla felicità, un altro breve testo divertente che punzecchia e fa pensare alla felicità e al nostro modo di crearla e viverla, l'autore Yves-Alexandre Thalmann cita il meccanismo dell'adattamento edonistico. Il problema sarebbe proprio l'abitudine, l'assuefazione alle novità, alle cose belle che ci succedono, fino al punto da non riconoscerle più, da trattarle come scontate e non trarne più il piacere iniziale.
Hanno ragione gli yogi, che hanno ideato asana a testa giù, dalle quali guardare tutto in un altra prospettiva, rivalutare, ricredersi, scacciare l'abitudine mettendo il mondo sottosopra.
Sarà per questo che una delle mie posizioni preferite è adhomukhasvanasana, che prepara a quelle a testa in giù rafforzando braccia e schiena.
Chiedendo al corpo e alla mente di sperimentare come staremmo se dovessimo allineare schiena e collo per stare in equilibrio sul capo anzichè sui piedi.


Adhomukhasvanasana è ottima per allungare e rafforzare la schiena, rilassando completamente il collo. Apre il petto, potenziando i muscoli e l'energia in afflusso verso il cuore.
Liberando il bacino verso l'alto e sentendo la testa pesante si sovverte la consueta percezione del nostro corpo, preparandoci fisicamente alle asana capovolte ed emotivamente ad incontrare prospettive opposte a quelle d'abitudine.


Per lo yoga il viaggio alla ricerca della felicità rinchiusa in noi ha come meta il prayaga. Con questo nome si definiscono i luoghi geografici in cui confluiscono i fiumi sacri dell'India, e, metaforicamente, i punti del corpo e gli snodi emotivi in cui le nostre energie, volontà e credenze si mescolano. Il viaggio fino al punto in cui si uniscono i diversi aspetti che ci formano come individui, lo stare in contatto con la sua potenza, questa è l'origine della felicità. Osservare e ascoltare, stare nel mondo vivendone al di sopra, al tempo stesso.

Ed è per diventare esattamente come vorrebbe essere, com’è nei suoi sogni che s’adopera. Certo, fra l’immagine sognata e quel che sarà realmente sul filo c’è una bella differenza. Eppure è questo che cerca: assomigliare un giorno all’immagine di sé che oggi si inventa. Per far sì che, una volta apparso sul filo d’acciaio, nel ricordo del pubblico non resti che un’immagine identica a quella che oggi si inventa. Curioso progetto: sognarsi, rendere percettibile un sogno che ridiventerà sogno, in altre teste!
...
Perché danzare stasera? Fare salti, capriole sotto i riflettori a otto metri dal tappeto, su un filo? Perché devi trovarti. Preda e cacciatore insieme, questa sera ti sei stanato, ti sfuggi e ti cerchi
.
...
La caccia sul filo, l’inseguimento della tua immagine, e le frecce con cui la crivelli senza colpirla, e la ferisci, e la fai sfavillare, è dunque una festa. Se la raggiungi, quell’immagine è la Festa.
...
La malattia, la fame, la prigione non possono renderti infelice, nulla ha potere su di te- se non la tua arte.

Il funambolo guarda la terra giù in basso, si bea del suo volo precario, ben sapendo che non avrebbe senso se sotto non ci fosse nulla. Il funambolo crea la sua strada trovando il giusto appoggio in cui mettere i piedi, imparando a conoscere qual è il suo peso e come tenerlo in equilibrio. Centimetro dopo centimetro, fino al suo prayaga, il punto in cui si crea l'armonia del suo respiro allineato con le sue ossa e si può originare il mondo, dalla forma dei suoi passi, dal ritmo del suo incedere. Come lo Shiva danzante, che crea l'universo dandogli il ritmo del suo tamburello e i contorni dei suoi movimenti, che lo yoga onora con shivanataranjasana.

  
Dio, dunque, altro non sarebbe che la somma di tutte le possibilità della tua volontà applicata al tuo corpo su quel filo di ferro. Possibilità divine!

La posizione migliora l'equilibrio, rafforza i muscoli dorsali e pettorali, flessibilizza la schiena. Ci dà la capacità di sperimentare l'equilibrio sfiorandone la perdita, di sentire come si può essere allineati anche nei movimenti più complessi, essere stabili anche sull'incipit del volo, della danza sfrenata. Consiglio di sperimentarla con cautela in caso di ernie o schiacciamenti della colonna vertebrale, cosa che vale anche per le posizioni capovolte, che le donne devono evitare durante il ciclo.

La felicità è del funambolo, e io, per fare la mia parte, mi sono cucita una tasca, in cui infilare i miei pensieri felici, a cui attingere quando ho bisogno di un appiglio in più, per ritrovare l'equilibrio e restare sulla fune.

Ringrazio Debbie e Simplymamma, che con i loro post mi hanno spronata ad affrontare l'argomento.


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3 commenti:

  1. Ci ho messo una settimana a scrivere questo post. Alla fine ha preso vita, come al solito mio e altro da me, pieno di cose che non sapevo e che mi trovo ora a scorrere incuriosita col pensiero...

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  2. Bellissimo questo post. Devo rileggerlo più volte forse. Ci sono alcuni punti che mi han colpito molto sopratutto in virtù del periodo che sto vivendo.

    :) il mi piace l'ho appena messo anche su fb

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    1. grazie di esserti fermata a scrivere, grazie per le belle parole che mi hai lasciato.

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