Tempo di neve, di vedere nel bianco




Questo tempo così inusuale non poteva non portare del nuovo con sé, doveva succedere qualcosa di inaspettato, dovevano arrivare messaggi ovattati su cui fermarsi, da osservare e ascoltare alzando le mani, come abbiamo fatto di fronte alla neve, che ci ha resi tutti un po' diversi in questi giorni.


Roma si è trasformata, dovendo cedere il passo alla natura e ai suoi ritmi, per una volta.


Bianco che quasi fa male agli occhi, gente che passeggia in mezzo alla strada sperimentando per una volta la supremazia sull'arroganza delle automobili, dei ritmi quotidiani che si dispiegano lenti, in un silenzio inaspettato, come un velo protettivo venuto a posarsi per far riposare i sensi.


E io, che nel freddo pungente ho trovato, senza nemmeno cercare.
Sabato mattina ho incontrato un'amica che non vedevo da qualche anno. Noi tre fuori a vivere la neve, morti di freddo ma col sorriso stampato, come tanti altri intorno a noi. Lei che ci è venuta incontro con un abbraccio che mi ha fatto capire tante cose. In altri momenti avrei avuto difficoltà ad affrontare serenamente un incontro di questo tipo: quando arriva il momento di raccontarmi, di dire cosa ho fatto o come ho vissuto mi sento sempre in preda a qualche mancanza, come se l'altro si aspettasse chissà quali racconti e io fossi lì ad offrire... me, semplicemente. Invece, sarà stata la neve, sarà stata quella situazione che aveva più a che fare con l'assurdo che con il plausibile, mi sono sentita bene, per niente in difetto rispetto a quella che ero quando la nostra amicizia era più intensa, per niente propensa a far paragoni e cercare di guardarmi con gli occhi di qualcun altro. Sembrerà strano, ma per me è un grande passo avanti e, forse, il mio esperimento di naiveté di qualche tempo fa ha avuto efficacia.
La notte ho fatto un sogno di cui non ho capito subito il significato, a cui non ho potuto fare a meno di pensare e ripensare durante tutto il giorno successivo, tanto mi aveva colpito. Il tipico "sogno d'ansia", come si usa chiamare quelle esperienze oniriche in cui si deve scappare, correre, fare urgentemente qualcosa, ma completamente sovvertito nel suo finale. C'erano tutti gli ingredienti del caso: il pericolo (due tipi loschi da cui dovevo scappare), un'automobile già in moto, una strada da percorrere per cercare di salvarmi. Ma quando sono salita in macchina la mia guida era calmissima, mi sono sintonizzata su una poco probabile fuga in seconda, convinta che non sarei stata raggiunta. Ogni tanto mi dicevo che avrei dovuto aumentare la velocità, ma non lo facevo, mi piaceva quella calma che avevo conquistato e non volevo disturbarla in nessun modo. Il sogno si è concluso quando ho pensato che, in realtà, non c'era proprio niente da cui scappare.
Tutto questo, e la sua connessione con l'incontro della mattina, si è chiarito solo la notte successiva, quando mi sono trovata ad essere l'unica che non riusciva a prendere sonno. Ho preso in mano i ferri con cui da mesi cerco di filare una coperta per Ladù. Ho sciolto i punti già fatti, sono ripartita da zero: nuovo disegno, nuovo abbinamento di colori.


E su quella "tabula rasa" ho toccato per qualche ora il vero senso della meditazione. Il silenzio, la razionalità concentrata sui ferri che prendevano e intrecciavano i fili, lo spazio per concedermi di non capire, non cercare, ma raccattare tra i pensieri tutto quello che arrivava, senza trattenerlo oltre il tempo per cui voleva mostrarsi.
Poi mi sono fermata, ho capito, ho chiuso gli occhi.
Buona notte me stessa, non si finisce mai di crescere, ti sei avvicinata un po' di più alla forza che sei.

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2 commenti:

  1. E hai fatto avvicinare me, un pò più alla mia...Grazie.

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  2. che belle foto....e non ti preoccupare non mi sono dimenticata di te! è solo che dopo l'influenza il pediatra mi ha detto di tenere ancora a casa la bambina e con lei intorno... un abbraccio

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