Verso la guarigione: sesta tappa (una fiaba, qualche confidenza, uno spunto per partire)


La sesta delle tredici tappe verso l'autoguarigione è una delle più difficili da esporre e mettere in atto. Prevede di prendersi tempo e ritagliarsi forza ed energie per entrare in contatto con la nostra parte più istintiva, con la nostra saggezza interiore. L'ideatrice di questo percorso a tappe parte dall'assunto che ognuno di noi conserva intimamente quell'aspetto "selvaggio" di profondo contatto con la natura e con le parti più irrazionali di se stessi e degli altri.
Assieme alla razionalità, ai pensieri formulati in modo chiaro, alle emozioni decodificabili, dimora dentro di noi un mondo che si manifesta attraverso i sogni, le coincidenze apparentemente inspiegabili (quelle che Jung chiamava sincronicità, su cui la psicologa junghiana J.S. Bolen ha scritto un breve ed esplicativo testo: Iniziazione al tao della psicologia, Edizioni Mediterranee), le emozioni irruente, il sentire più difficile da esprimere.
Stabilire un contatto con questa parte di noi è sicuramente un ottimo modo per dar voce a tutti gli aspetti che compongono l'armonia del nostro essere.
Alla base di questo invito si inserisce una domanda che va ancora più a fondo: vogliamo essere schiavi di ciò che ci accade o servitori del nostro percorso?

Qualche giorno fa mi è capitato di fare una lezione di yoga in cui l'insegnante poneva agli allievi questa domanda durante l'esecuzione delle asana. La sua domanda era forte, provocatoria, incisiva in quel contesto di grande fragilità e forza, di contatto col proprio corpo e misura del suo stato.
L'invito a seguire il proprio istinto, a non fermarsi davanti agli eventi non razionalizzabili, ad entrare incontatto con la propria ombra (anche io ci sto provando, a modo mio...) non è l'ennesimo amo lanciato in vece di una spiritualità prét-à-porter.
Per conto mio, lo sto sperimentando in questi mesi, l'ho afferrato durante quella lezione.
Ho dovuto fare spesso i conti con l'incolmabile dicotomia tra la mia percezione e quella scientifico- medica, negli ultimi tempi. I problemi di salute con cui mi sono confrontata mi hanno prima spiazzata (Proprio io? Com'è possibile? L'ultima persona a cui sarebbe dovuta succedere una cosa del genere sono io...) poi mandata in crisi, schiacciata dal peso della delega del mio sentire a qualcun'altro: Allora, dottore, come sto? Mi sembrava di essere impazzita, mi sentivo bene, tutto sommato, ma da fuori arrivavano pareri opposti: Dobbiamo fare un cesareo d'urgenza, la situazione è peggiorata! Oppure: Beh, signora, ha già fatto tanto a dare alla luce questo bambino, non si metta in altre situazioni stressanti, che la situazione è quella che è...
La cosa che più mi faceva soffrire era non riuscire a sentire con il mio corpo quello che mi veniva diagnosticato dall'esterno. Ci sono voluti un pò di mesi e tanto sostegno da parte di persone speciali, prima di intuire che l'intera questione avrebbe trovato la soluzione su un altro piano. Io, il mio corpo, i miei sensi, la nostra sinfonia di essere che procede nel suo percorso abbiamo poco a che fare con la visione esterna, razionale e medicalizzata di un solo organo (uno solo, per quanto importante), di un solo pezzo del puzzle. Ci sto mettendo davvero tanto tempo per imparare ad ascoltare e seguire i consigli medici che mi hanno salvata e aiutata a star meglio, senza perdere di vista che io sono di più di un pezzo da riparare e che, soprattutto, la malattia ha creato danni in un aspetto del mio essere così come meraviglie in altri campi. Essere scesa tanto in basso mi ha permesso di spiccare un salto molto più alto di quello che avrei potuto fare partendo dalla pianura su cui vivevo prima.

L'esigenza trasformativa che esce dal dolore, dalla ricerca profonda, dal tempo dedicato al contatto con se stessi, così come dagli eventi bellissimi e travolgenti è un'occasione di conoscere la nostra saggezza interiore, il primo incontro con la decisione se essere schiavi o servitori.

L'archetipo del passaggio attraverso una serie di sfide, esterne e tangibili o soltanto interiori è presente nella letteratura di tutto il mondo. Spesso sono le fiabe a contenere messaggi trasformativi, inviti all'alchimia. Vassilissa, come raccontata e spiegata da C.Pinkola Estes, è una delle mie preferite.

Vassilissa era una bambina bellissima dal cuore puro. La sua vita cambiò all'improvviso quando sua madre morì e il padre si risposò. La sua matrigna non la vedeva di buon occhio, e le sue due figlie non sopportavano la bellezza e la dolcezza di Vassilissa. Il padre non interveniva nei rapporti tra le donne e Vassilissa, incapace di difendersi, si lasciava sottomettere sempre di più alla condizione di serva di casa.
Un giorno la matrigna le le sorellastre decisero di liberarsi di lei con un inganno: lasciarono che il fuoco della casa si spegnesse per poi mandarla nella foresta, regno pericoloso e buio della strega Baba Jaga, a riprenderlo.
Appena saputo del compito che le spettava eseguire, Vassilissa si incamminò nel bosco, portando con sè solo una bambola di pezza che le era stata regalata dalla madre in punto di morte. Ben presto quel donò si rivelò molto di più di una semplice bambola. Ogni volta che Vassilissa si trovava in difficoltà, la bambola le parlava, si muoveva nella sua tasca per indicarle la giusta direzione in cui camminare, la rassicurava. E la aiutò anche quando, trovata la dimora della Baba Jaga, dovette superare delle prove per poter ottenere il fuoco che le stava chiedendo.
La prima sera le fu chiesto di sistemare tutto il disordine nella dimora della strega, separare il grano buono da quello cattivo e preparare da mangiare per la padrona di casa. La strega se ne andò nella notte, Vassilissa si addormentò e la bambola fece tutto il lavoro in tempo per l'arrivo di Baba Jaga.
La seconda sera fu chiesto alla bambina di separare i milioni di semi di papavero lasciati in un cumulo di spazzatura nel cortile. La strega se ne andò nella notte, Vassilissa si addormentò e la bambola fece tutto il lavoro in tempo per l'arrivo di Baba Jaga.
Il terzo giorno Vassilissa volle fare delle domande alla strega, incuriosita com'era dagli elementi magici che circondavano la sua casa. Ma la bambola iniziò a dimenarsi tanto da far capire alla bambina che era meglio non chiedere e non sapere troppo.
Sorpresa dalla saggezza della piccola, che sapeva quando smettere di far domande, la strega si convinse a darle il fuoco e la lasciò andare.
Grazie all'aiuto della sua bambola, Vassilissa riuscì a tornare a casa, dove la matrigna e le sorellastre avevano già smesso di aspettarla e se ne stavano, convinte che fosse morta, al freddo e al buio.
La bontà di Vassilissa non le permetteva di entrare in conflitto con le tre, ma il teschio in cui aveva trasportato il fuoco fino a casa non smetteva di guardarle con astio.
Passò la notte, il teschio sempre attento a tutti i movimenti delle tre.
Il mattino seguente, al suo risveglio, Vassilissa le trovò carbonizzate.

(Clarissa Pinkola  Estes, Donne che corrono coi lupi, ed. Frassinelli).


Immagine presa da qui

L'esperienza trasformativa cui Vassilissa va incontro si compone di diverse tappe, tutte ascrivibili al grande progetto di aprirsi progressivamente alla propria ombra, immergersi nel proprio istinto ed tornare, se stessa eppure rinnovata, al proprio quotidiano.
Prima tappa: lasciar morire la madre buona, lasciar andare quello che non può più essere trattenuto.
Seconda tappa: lasciar entrare la propria ombra, le sorellastre e la matrigna. Prendere coscienza che dentro di sè (nella propria dimora) ci sono anche il crudele, il brutto, l'indesiderabile.
Terza tappa: navigare nell'intuito, stare nella foresta, superare il buio ascoltando e nutrendo il proprio istinto (la bambola)
Quarta tappa: affrontare la strega selvaggia, sedersi alla sua tavola, familiarizzarsi con l'arcano.
Quinta tappa: servire il non razionale, sistemare la sua dimora.
Sesta tappa: saper discernere e separare: divedere ciò che non serve da quello che è utile, separare il grano buono dal cattivo, i semi di papavero dalla spazzatura.
Settima tappa: indagare il mistero, chiedere a proposito degli elementi magici che vediamo, sapendo dosare le domande, senza esagerare con la razionalizzazione, aspettando che ogni cosa venga a suo tempo.
Ottava tappa: portare il teschio pieno di fuoco, stare con l'oscuro e farsi guidare da esso.
Nona tappa: riplasmare l'ombra, guardare con gli occhi di fuoco, come il teschio infuocato guarda la matrigna e le sorellastre di Vassilissa. Reagire alle ombre negative della propria psiche e dell'esterno, per addomesticarle smettendo esserne vittime (la matrigna e le sorellastre che tormentavano Vassilissa sono, infine, incenerite).

Ci sono eventi della vita che ci costringono ad affrontare queste tappe, se vogliamo trovare quella forza spirituale indispensabile per aiutare anche il corpo a guarire e la mente a placarsi. Ci sono momenti in cui semplicemente sentiamo il bisogno di far pulizia, creare spazio, aprirci a qualcosa che stiamo a ancora aspettando. Ci sono momenti in cui siamo semplicemente alla ricerca, in attesa. 
Partire con una fiaba, leggere una storia e vedere dove ci porta può essere una buon inizio.


3 commenti:

  1. ..sono in silenzio di fronte a tutto questo, alla tua capacità e bisogno di conoscenza di te stessa.
    ti seguo...

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  2. meraviglioso....è incantevole ascoltarti

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